Dagli ultimi decenni del XIX secolo, in Italia, compositori come Amilcare Ponchielli (Paderno Fasolaro, 31 agosto 1834 – Milano, 16 gennaio 1886), con La Gioconda, Alfredo Catalani (Lucca, 19 giugno 1854 – Milano, 7 agosto 1893), con Lorelay e La Wally, e Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918), con il Mefistofele, realizzano un nuovo tipo di melodramma in cui le strutture tradizionali dell’opera italiana si disgregano e si arricchiscono di stimoli e contenuti nuovi: temi letterari ispirati dalla letteratura verista, il linguaggio musicale di Wagner, la tradizione del grand-opéra francese, l’estetismo e l’esotismo decadente, lo stile teatrale e drammaturgico dell’ultimo Verdi.
Con l’ultimo decennio del XIX secolo si afferma un nuovo gruppo di compositori, la cosiddetta Giovane scuola (anche detta Giovine scuola), che porta a compimento la creazione del nuovo melodramma italiano, inserito in una dimensione culturale europea. Fanno parte di questa “scuola” alcuni compositori che generalmente sono rimasti famosi per una o comunque poche opere.
Pietro Mascagni (Livorno, 7 dicembre 1863 – Roma, 2 agosto 1945), nel 1890, divenne famosissimo con la sua opera Cavalleria Rusticana che porta in scena una novella di Verga e avvicina il melodramma italiano alla corrente letteraria del “Verismo”: l'opera mette in scena, con forte impatto emotivo, una cruda storia di gelosia che si svolge nell’ambiente popolare di un paese della Sicilia alla fine del XIX secolo e l’autore riesce pienamente a esprimere con la sua musica i sentimenti elementari e violenti dei personaggi, che non sono più i nobili eroi romantici tipici del melodramma ottocentesco, ma uomini e donne appartenenti alle classi sociali più umili.
Sulla stessa strada del Verismo si muove Ruggero Leoncavallo (Napoli, 23 aprile 1857 – Montecatini Terme, 9 agosto 1919), con l’opera I Pagliacci, di cui egli stesso scrisse il libretto, ispirandosi a un fatto di cronaca nera, un delitto realmente accaduto in Calabria, del quale si era occupato il padre del compositore che era un magistrato.
Umberto Giordano (Foggia, 28 agosto 1867 – Milano, 12 novembre 1948) esordì nel 1892 con un’opera strettamente verista, Mala vita, che nell’ambiente del teatro italiano fu accolta con forti perplessità, mentre nei teatri dell’Austria e della Germania fu ben accetta come la dimostrazione di una vera nuova tendenza nel mondo dell’opera. Giordano è tutt’oggi ricordato però essenzialmente per due opere: l'Andrea Chénier, di argomento storico, e Fedora, un melodramma che ha in sé i caratteri del giallo e del poliziesco, con inchieste e misteri e colpi di scena, e soprattutto una grande coerenza narrativa affidata all’orchestra.
Il compositore più importante di questo periodo è sicuramente Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924), che riuscì a realizzare nelle sue opere una sintesi perfetta fra la tradizione melodrammatica italiana, le strade aperte dall’ultimo Verdi, il Verismo e l’estetica del Decadentismo; inoltre il suo linguaggio musicale conobbe un’evoluzione stilistica che lo portò a far proprie le innovazioni armoniche e orchestrali dell’Europa di inizio Novecento, integrate in un vocabolario musicale di grande efficacia: con Puccini infatti il melodramma italiano assume una dimensione internazionale ed europea, assimilando e sintetizzando con abilità e rapidità linguaggi e culture musicali diverse.
Dalle opere di Wagner il compositore italiano trasse importanti spunti per quanto riguarda le tecniche musicali narrative, basate sui motivi conduttori e l’elaborazione sinfonica delle vaste proporzioni dell’opera lirica; parallelamente alla musica francese a lui contemporanea, in particolare quella di Debussy, Puccini sviluppò il gusto per la finezza estetizzante dell’orchestrazione e l’uso di combinazioni armoniche modali che Wagner stesso aveva indicato nella sua ultima opera, il Parsifal. Ma soprattutto Puccini segue e amplia l’esempio di Verdi e in particolare dell’ultima opera verdiana, il Falstaff, con il suo senso di continuità scenica, interesse, varietà, rapidità, sintesi e profondità psicologica.
Sin dalle sue prime prove, Puccini avvia un melodramma in cui si approfondisce l’introspezione psicologica dei personaggi, in particolare di quelli femminili, che, seguendo l’esempio della protagonista de La Traviata di Giuseppe Verdi, subiscono un processo di intima evoluzione lungo tutto l’arco dell’opera; questo esige dai cantanti la più grande varietà espressiva, mentre l’orchestra sostiene l’unità di tutto il discorso narrativo. La figura femminile diviene così l’elemento portante delle opere pucciniane, che hanno sempre una protagonista di rilievo: Manon, nella Manon Lescaut, Mimì e Musetta ne La Bohéme, Tosca, nell’opera omonima, Cio Cio San, nella Madama Butterfly, Minnie ne La Fanciulla del West, Magda ne La Rondine, Suor Angelica, nel Trittico, fino ad arrivare all’ultima eroina di Puccini, Turandot, nell’omonima opera rimasta incompiuta non solo per la morte del compositore a causa di un cancro alla gola, ma anche per le continue insoddisfazioni nei confronti del libretto relative alla coerente evoluzione psicologica della protagonista.
Puccini mette in musica nelle sue opere un complesso sistema di corrispondenze con le tendenze artistiche e letterarie del suo tempo: dal Decadentismo europeo trae una naturale tendenza all'estetismo, che si riflette nella finezza del gusto armonico e nella trama orchestrale; dal simbolismo di Pascoli Puccini deriva la sua personale poetica delle piccole cose, con una predilezione per personaggi fragili e per l’intimità; dal romanzo e dal teatro di prosa moderni Puccini porta nella musica e nel melodramma la capacità di sospendere il tempo della narrazione, isolando dei momenti drammatici e moltiplicando i punti di vista, in maniera che i personaggi appaiano anche diversi e frammentati lungo l’arco dell’opera e che non si abbia uno svolgimento lineare ben chiaro nel tempo, ma un senso di dilatazione e sospensione generale che proietta invece l’attenzione sull’intimità del personaggio e quindi sul suo tempo interiore. Ancora, tipico delle mode del periodo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo è il gusto per l’esotico: Madama Butterfly, La Fanciulla del West e Turandot si svolgono in posti lontani, geograficamente reali ma non visti nella loro realtà, ma con dei contorni evanescenti e quasi da sogno.
Manon Lescaut, del 1893, è la prima opera realmente matura di Puccini, nella quale si definiscono i caratteri psicologici e stilistici dell’autore che saranno sviluppati in futuro. Pur lasciando un posto predominante alla vocalità dei cantanti, Puccini, seguendo l’esempio di Wagner, trasferisce la sua attenzione all’orchestra e alle strutture armoniche e sinfoniche. Già in Manon Lescaut le strutture accordali della musica di Puccini sono sofisticate e trovano la loro naturale collocazione nel timbro accurato e vaporoso dell’orchestra.
La Bohème è uno dei capolavori indiscussi di Puccini; rappresentata nel 1896, è caratterizzata da un intenso lirismo melodico, da un uso raffinato dell’armonia e da un’orchestrazione funzionale e coloristica; la psicologia dei personaggi diviene la protagonista assoluta di quest’opera nella quale il tempo sembra quasi dissolversi.
Con Tosca, del 1900, Puccini crea un’opera realista, ricca di azione ed effetti scenici, nella quale conferma la sua abilità di uomo di teatro e soprattutto la capacità di caratterizzare i personaggi e il dramma con un’eccezionale sintesi fra il canto, l’armonia e il timbro orchestrale.
Madama Butterfly, alla quale l’autore lavorò per molto tempo realizzandone ben cinque versioni, l’ultima della quale del 1920, è un’opera caratterizzata dal gusto per l’esotico, tipico del decadentismo europeo. È un dramma tutto incentrato sulla figura della protagonista femminile e sulla sua tragica evoluzione dall’ingenuità iniziale alla coscienza del proprio destino. I tradizionali rapporti fra spazio e tempo si dissolvono e la musica crea un’atmosfera sospesa, tutta proiettata nell’intima introspezione dei personaggi.
Puccini era un musicista non solo di grandissimo talento ma anche estremamente colto e attento e partecipe alle nuove tendenze della musica europea. Con La Fanciulla del West iniziò un percorso di ricerca e innovazione del linguaggio musicale che lo portò a sperimentare sempre nuove soluzioni armoniche e strumentali, rimanendo però fedele alla propria concezione del teatro e al suo inconfondibile stile.
Nel 1917 Puccini scrisse La Rondine, un’opera ormai pochissimo rappresentata, nata in origine come un confronto con il mondo leggero dell’operetta. Il risultato fu una commedia lirica nella quale si nota un Puccini diverso, che tenta di trasferire nel teatro lirico italiano - lo spirito leggero della musica della Vienna di inizio secolo.
Dopo l’esperimento della Rondine, Puccini compose Il Trittico, tre atti unici che vennero rappresentati nel 1918 a New York. Nelle tre piccole opere si percorrono tre atmosfere diverse: la prima parte, Il Tabarro, è un soggetto verista; la seconda parte, Suor Angelica, è caratterizzata da un estetismo mistico, drammatico e sentimentale; infine la terza parte è una brillante commedia storica, Gianni Schicchi, che prende spunto da un episodio dantesco. Queste tre opere rappresentano il massimo punto di contatto di Puccini con il Decadentismo europeo, soprattutto per quanto riguarda il gusto estetizzante dell’orchestrazione e la psicologia dei personaggi.
L’ultima opera di Puccini, Turandot, è una fiaba ambientata in una Cina irreale e senza tempo. Dopo Madama Butterfly e La Fanciulla del West, il musicista ritorna a un soggetto esotico, che gli consente di esplorare colori orchestrali nuovi e di notevole effetto, con soluzioni armoniche e timbriche originali ed estremamente raffinate.
Turandot rimase incompiuta: l’autore, infatti, morì a causa di un cancro alla gola mentre lavorava all’ultima parte dell’opera. Fortunatamente, forse presago della sua morte ormai imminente, Puccini aveva completato in dettaglio tutta la composizione e l’orchestrazione della partitura mentre ancora discuteva con i librettisti sul finale dell’opera; così fu possibile una prima esecuzione postuma della sola parte completa. Il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che diresse la prima dell’opera, posò la bacchetta proprio sulle ultime note scritte da Puccini. Subito dopo il successo della prima rappresentazione fu lo stesso Arturo Toscanini a commissionare al compositore Franco Alfano il completamento dell’ultima parte della Turandot, basandosi su una grande quantità di abbozzi che l’autore aveva lasciato. Oggi l’opera viene in genere eseguita con questo finale di grande effetto scenico.
Nel 2002 il compositore Luciano Berio ha realizzato un nuovo completamento dell’opera, molto più fedele agli abbozzi di Puccini, anche quelli che al tempo sembrarono più arditi e quindi erano stati scartati da Alfano. Ascoltando oggi la Turandot con questo nuovo finale, meno spettacolare ma più funzionale alla drammaturgia e forse più vicino alle intenzioni dell’autore, si può vedere la grandezza di Puccini come compositore e cercare di immaginare quali altri grandi capolavori avrebbe scritto se non fosse morto a sessantasei anni.